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Maurizio Bonini

opere 2000-2005


inaugurazione: lunedì 7 novembre
dalle ore 18 in poi
fino al 22 novembre: dal lunedì al venerdì: 17-20
in altri orari per appuntamento

Un’arancia così verosimile da aver bisogno di un filtro (un sottile reticolo tra lo spettatore e la tela), un cocomero innaturale e fuori scala, con la polpa che richiama un polmone o la porosità del paesaggio napoletano come apparve a Ernst Bloch, una cipolla rosa smisurata, un mare di maccheroni più vicino alle allucinazioni che al sorriso pop, zoom anatomici su cedri e frutti vari: è un banchetto barocco allestito all’insegna dell’artifizio, che produce in chi entra nello Studio Morbiducci un certo spaesamento, non proprio un’inquietudine, come se si fosse capitati in una favola, per esempio quella della casa degli orsi. È l’effetto di una ricostruzione dell’universo ortofrutticolo dove si è modificata l’unità di misura e dove gli spettatori sono sospinti nei viaggi percettivi di Gulliver.

Maurizio Bonini, romano cresciuto nelle strade allora popolari intorno a Piazza di Spagna, ha imparato il mestiere di pittore e incisore all’Istituto d’arte di via Conte Verde, con Francesco Piruga, Achille Pace, Eliseo Mattiacci, e all’Accademia di via Ripetta con Toti Scialoja. Del suo primo periodo restano alcuni rari quadri “stellari”. Nel frattempo è protagonista della scena musicale italiana (mitico il suo Shufflin’ Time, degli anni Ottanta, dove è accompagnato da Nöel Redding, che fu anche bassista di Jimi Hendrix ), continuando a dedicarsi alla pittura come esercizio privato. Un tormentato interrogarsi sulle possibilità della mimesis attraverso la sperimentazione delle tecniche più tradizionali e auliche. Gradualmente, la ricerca sui realismi della rappresentazione lo spinge a innestare i residui della figuratività occidentale, deformati e frammentati per l’ingrandimento, sull’astrazione “orientale”: è la serie düreriana della fisiognomica dei frutti, uno sguardo che penetra nella struttura cellulare, riportato su preziose carte giapponesi. In questi acquerelli si nascondono complesse cattedrali formaliste,” pacchetti visivi contenutisticamente chiari (come chiari sarebbero, alla vista dei mille occhi di un insetto le ramificazioni di uno spicchio d’arancia, con tutti i suoi liquami e stopposità avulse, in carrellata radente)”. Così scrive Roberto Silvestri nella Presentazione che rievoca nomi e quadri segreti di una vicenda ancora sconosciuta. E’ infatti la prima volta che Bonini acconsente a mettere in mostra i suoi lavori, da un quadro lontanissimo, Stelle, del 1969, quasi un preambolo, alla produzione di questi ultimi cinque anni, durante i quali si è cimentato nella creazione di strane immagini dove “la cosa vista, ti vede”.