Studio Morbiducci via g.b.bodoni 83, 00153 roma tel.+39.065746285 - amorbiducci@alice.it
 
 

Franco de Courten

Mostre:    
giardini
dipinti e carte
5 - 23 dicembre presentazione di Claudio Strinati
intervista di Scarlett Matassi
Opere recenti 2 - 20 dicembre2002 a cura di Bruno Mantura


giardini
dipinti e carte

presentazione di Claudio Strinati
intervista di Scarlett Matassi

I numerosi critici che hanno analizzato l’opera di Franco de Courten – una produzione torrentizia frutto di un’applicazione metodica quanto entusiasta – l’hanno con sicurezza collocata nell’ambito della tradizione astratta internazionale. Collocazione che il maestro si guarda bene dal contestare quando racconta dell’imprevedibile contributo offerto alla sua formazione artistica da “Civiltà delle Macchine,” la bella rivista di Sinisgalli alla quale il padre era abbonato: “Sulle sue pagine ho conosciuto i protagonisti della pittura informale italiana degli anni Cinquanta-Sessanta, Burri, Afro, Vedova e tutti gli altri. Mi sono piaciuti subito, erano nelle mie corde. Poi ho scoperto l’Espressionismo astratto americano, grandissimo. Nel Novecento, dopo Picasso, mi pare che le intuizioni più felici le abbiano avute i pittori di quella tendenza. Una sostanziale influenza sul mio lavoro l’ha esercitata Diebenkorn, un pilastro dell’arte della West Coast. Questi sono stati i miei riferimenti, il clima figurativo all’interno del quale ho operato”. Eppure, se gli si chiede di definire in tre parole la sua pittura, con semplicità risponde: “Sinora ho fatto il paesaggio”. Un’affermazione della quale bisogna tener conto. Se è vero infatti che questo intellettuale così fine ha sempre avuto la civetteria di dichiararsi inadeguato a parlare della sua arte, è altrettanto vero che chiarissime sono le sue idee sull’argomento. Dunque, se l’astrattista de Courten dice di essere un paesaggista bisogna credergli.

“Fino al ’98 ho fatto due mestieri, il pittore e il diplomatico. Li ho amati entrambi moltissimo e mi sono ingegnato a farli coesistere in modo che l’uno non intralciasse l’altro. Mi pare anche di esserci riuscito. Direi che si sono persino create delle interferenze positive. La pittura è stata l’efficace espediente psicologico che mi ha permesso di affrontare con serenità le situazioni delicate, spesso drammatiche connesse al mio ruolo di diplomatico. Nei momenti più difficili sapere di avere in tasca la chiave di un giardino segreto mi ha dato una grande forza. E’ anche vero però che quella vita di viaggi ha regalato alla mia pittura uno straordinario bagaglio di informazioni ed emozioni visive. In verità la carriera diplomatica ha fatto di me un moderno pittore del Grand Tour.”

Nel corso degli anni e dei viaggi, le griglie astratte dei dipinti di de Courten hanno fatto lentamente affiorare il loro segreto, quello di un vedutismo di fine millennio fatto di “sedimenti di immagine”, come ben puntualizza in catalogo Claudio Strinati. Meditare sulle tante cose viste e intrappolate da una memoria vorace e restituirne l’essenza attraverso una pittura soprattutto di colore è stato il compito attorno al quale, giorno dopo giorno, il pittore-viaggiatore de Courten si è intrattenuto. Giorno dopo giorno e serie dopo serie, giacché per cicli procede il suo lavoro.

Ora è la volta dei Giardini, protagonisti della mostra che segna il ritorno di Franco de Courten allo Studio Morbiducci. Con i Giardini la figuratività latente nell’astrattismo di de Courten esplode. Chiedersi in quale parte del mondo abbia rubato quelle immagini questa volta forse non ha senso, il maestro fa infatti capire che il confronto con ambienti in cui trionfa la linea curva ed un vitale disordine è nato soprattutto dal desiderio di procurarsi un’esperienza pittorica del tutto nuova. Dipingere giardini è il colorato pretesto per una sfida emozionante.






Chi conosce la produzione di Franco de Courten sa bene che la sua torrentizia creatività lo porta a dipingere per "serie": la serie delle Carte, le Fessure, le recenti Sabbie e una carrellata di ritratti di protagonisti della pittura del '900, gli Studi d'artista. Ritratti singolari, in verità, dal momento che a essere rappresentati non sono i volti di Rothko, Balthus, Afro o quant'altri, ma i luoghi dell'elaborazione della loro arte, gli studi per l'appunto. Se la serie fosse completata da un ‘autoritratto' , lo studio di de Courten a piazza Farnese, l'opera ci parlerebbe meglio di qualsiasi saggio critico di questo artista, fine ed elegante. Del piccolo ambiente in cui, ogni giorno, de Courten si mette al lavoro, colpisce la quantità di carte stipate e disseminate in ogni angolo. Ad un esame più approfondito esse si rivelano una raccolta di antichi fogli preziosi: mappe, illustrazioni, pagine di libri stampati o manoscritti gli idiomi più vari, che l'artista ha scovato, un po' dovunque, nel corso di una vita profondamente segnata dall'esperienza del viaggio. Il destino riservato alla rara collezione è, incredibilmente, quello della manipolazione: i fogli serviranno a costruire raffinati collages, prima dipinti e poi graffiati a pennello o a pastello. L'effetto finale sorprende per lo straordinario cromatismo. La sapienza tonale è, da sempre, uno dei caratteri distintivi della pittura di de Courten. Formatosi nell'ambito della tradizione astratta internazionale, in cinquant’anni di attività (dipinge da quando ne aveva quattordici), egli non ha mai smesso di giocare con il colore. Al colore, che predilige denso e granuloso, affida il compito di evocare i ricordi della gran varietà di terre viste durante un'esistenza errabonda. Per lungo tempo, infatti, de Courten ha affiancato al suo lavoro di artista una prestigiosa carriera diplomatica che lo ha portato a soggiornare nei paesi, amatissimi, del bacino del Mediterraneo, del Medioriente e dell'Africa Equatoriale,costantemente presenti dietro lo schema astratto delle sue opere. Il godibile gioco dei rimpalli tra astrattismo e figuratività latente è, d'altronde, l'altra nota caratteristica della sua arte. In verità l'informale de Courten si diverte a spacciare sottobanco meravigliosi paesaggi mediterranei. Paesaggi intravisti, come nella serie delle Fessure, attraverso brecce aperte nella struttura astratta dell'opera o, addirittura, matericamente ricostruiti, magari impastando nel colore una manciata di sabbia rosa del deserto, o magistralmente consegnati allo spettatore attraverso la riproposizione della loro vicenda cromatica, come, nella lunga tradizione della pittura di viaggio, sono riusciti a fare solo gli artisti capaci di immergersi profondamente nei luoghi dei loro soggiorni.