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Tobia Ercolino

Mostre:    
Carte 3 - 21 febbraio 2003 a cura di Roberto Fratini Serafide

 


Si può scrivere la pittura? Si direbbe di sì guardando i quadri di parole di Tobia Ercolino. Il suo iter artistico è multiplo. Diplomato in pianoforte al Conservatorio Cherubini di Firenze, nel 1971 abbandona la musica per darsi professionalmente alla pittura e, dal 1978, all'attività di scenografo e costumista. Premio Ubu per la scenografia nel '91, ha collaborato con i più importanti registi teatrali italiani ed europei: Angelo Savelli, Cristina Pezzoli, Carlo Cecchi, Massimo Castri, Ugo Chiti, Gianrico Tedeschi, Cherif, Thierry Salmon, Pier' Alli, solo per citarne alcuni, lasciandosi però anche coinvolgere dal fascino degli allestimenti di moda e di eventi particolari (suoi, ad esempio, la scenografia per l'edizione '88 di Donna sotto le stelle a piazza di Spagna e l'apparato scenografico all'aeroporto di Fiumicino per la visita di Giovanni Paolo II). Egli è, però, soprattutto un lettore - che siano spartiti musicali, copioni, letteratura o poesia - e non se ne può capire la pittura se non alla luce della sua vorace passione per la pagina scritta. Le parole sono padrone della sua arte e della sua vita. Esse, scrive il poeta Roberto Fratini Serafide 'sciamano caotiche, operose, pericolose, dall'ordinata larvalità della pagina a queste cortine ronzanti che sono le carte di Ercolino'. Usando il pennello come una penna, l'artista trascrive raffinate miscellanee di testi legati da un tema. L'esercizio calligrafico però non lo interessa, usa, al contrario, la sua frettolosa grafia di tutti i giorni, consapevole che, in dipinti costruiti da pennellate-scrittura, essa sarà fatalmente chiamata a diventare il suo stile pittorico. Spesso questi sonori arazzi intessuti di racconti, poesie, voci narranti si presentano come squarciati da inserti di pittura. Il linguaggio letterario e quello pittorico si incontrano e scontrano, tentano di coabitare su supporti di carta che, nelle opere più preziose, sono fogli di velina montati su garze evanescenti, quasi a voler sottolineare la precaria fragilità dell'equilibrio cercato. Nei lavori più recenti, dalla griglia astratta della scrittura riemerge, sotto forma di ombra, la figura umana. La rappresentazione si complica e dal naturale istinto drammaturgico di Ercolino scaturiscono dittici e trittici, opere, cioè, nelle quali la narrazione si svolge, proprio come a teatro, in due, tre tempi. Lo spiazzante paradosso della sua arte è, in fondo, tutto qui: realizzare quadri che, come quelli del passato, raccontino storie, partendo, però, dall'astrazione della grafia.